Chi si ricorda Blu? Ecco come fallì il quarto gestore mobile
La storia del quarto gestore mobile che non c’ è più: Blu.
Vi ricordate lo spot pubblicitario di Blu? Un gruppo di spermatozoi che si muoveva nel buio. Poi se ne staccava uno, blu, che correva a fecondare un ovulo, all’interno del quale apparivano in sovrimpressione logo (bellissimo) e claim dell’ azienda: BLU, “Il futuro che non c’era”. Due storici spot di Blu li trovate in fondo a questo post. Ma procediamo con ordine.
Il futuro che non c’era, in effetti, ci sarà per poco. In questi ultimi tempi qualche osservatore ha individuato nel caso Blu una possibile similitudine con la nuova Iliad.
E ovviamente anche i concorrenti sperano un po’ in un nuovo quarto gestore debole come Blu. Ma cosa successe veramente alla compagnia telefonica morta così prematuramente? In questo post-nostalgia, vogliamo ripercorrere rapidamente la storia di Blu.
Era il 1999 e un nuovo operatore mobile si apprestava ad entrare nel modo delle telecomunicazioni. Il nome BLU lo scelse, secondo la leggenda, niente di meno che l’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.
Ma che fine ha fatto Blu? Cosa è successo? E perché è fallita in un lampo, finendo poi, tutta spezzettata, nelle mani dei concorrenti?
La vicenda della compagnia Blu è un’ avvincente quanto rocambolesca storia di politica, finanza e tecnologia che ha investito l’Italia a cavallo dell’anno Duemila.
È il momento in cui termina l’ ultimo monopolio Telecom anche nel fisso e molti imprenditori fiutano l’affare e si immettono nel mercato delle telecomunicazioni. A breve si sarebbe verificata la cosiddetta bolla di internet. La speculazione totale sui titoli legati alle nuove tecnologie.
In questo contesto, un poker d’assi come Benetton, Berlusconi, Caltagirone e British Telecom si lancia nell’avventura mettendo su la nuova compagnia Blu, con presidente Giancarlo Elia Valori, “dimenticandosi” di attribuire la paternità del nome al Presidente emerito Cossiga, che inizialmente non la prende molto bene…
La storia di Blu inizia dunque in questo delizioso scenario di polemiche e accuse.
Blu non riesce a imporsi nel mercato quanto ci si sarebbe aspettato, collocandosi al naturale quarto posto dopo Tim, Omnitel e Wind e conquistando solo il 4% del mercato mobile, per lo più clienti non business.
Ma il mercato è già saturo ed è tutto previsto. Insomma, la crescita è tutta in salita ma c’ è.
Quello che cambia radicalmente la Blu story è la gara per le frequenze UMTS. La vera sfida che tutti aspettano è infatti fissata ad ottobre 2000, quando lo Stato metterà all’asta 5 licenze UTMS. Licenza indispensabile per Blu che mira naturalmente al futuro e all’innovazione (e qui le similitudini dei valori brand di Iliad si fanno ancora più forti)
Nel 1999 i telefonini sono utilizzati ancora al minimo delle loro potenzialità, più che altro per telefonare e ricevere messaggi: il Sistema Mobile Universale di Telecomunicazione (Universal Mobile Telecommunications System) ovvero UMTS permetterà un’evoluzione al tempo considerata fantascientifica dall’utente medio: lo smartphone.
Navigare in rete, vedere video, fare acquisti on line, ricevere informazioni, giocare in borsa… insomma tutto quello che oggi facciamo abitualmente con in nostri telefonini, che sono a tutti gli effetti dei mini computer.
La posta in gioco nell’asta delle licenze UTMS è dunque più che appetitosa: rappresenta la permanenza o meno nel mercato delle telecomunicazioni.
Le licenze da assegnare sono 5, i concorrenti in gara sei: Tim, Omnitel, Wind, IPSE ( Acea e Telefonica), i cinesi H3G (quelli di 3 Italia) e Blu.
Il presidente del Consiglio Giuliano Amato prevede rilanci all’asta e incassi da sogno: nel frattempo il Presidente di Blu, Valori (legato in precedenza alla Loggia Massonica P2 da cui era stato espulso) promette posti di lavoro.
Ed è qui che accade l’impensabile: Blu si ritira all’improvviso.
I rimanenti partecipanti alla gara, venendo a mancare un contendente, riescono ad accaparrarsi le licenze a un prezzo ipervantaggioso.
Scoppia la bufera. Blu viene condannata a pagare una multa di 4 miliardi di lire per turbativa d’asta (multa poi annullata).
Si aprono inchieste per verificare la correttezza dell’operazione. Blu, debole nel mercato e senza licenze, diventa un contenitore d’aria fritta. Senza UMTS tutti sanno che sarebbe impossibile continuare ad operare sul mercato mobile. Il destino di Blu, senza 3G, è ovviamente segnato.
Ma perché Blu si è ritirata e ha chiuso?
Una possibile risposta si avrà nei mesi successivi: nell’estate del 2000 infatti, Edizioni Holding (ovvero Benetton) entra in Telecom. L’accusa dei giornali è di aver manipolato l’asta sulle licenze per favorire la compagnia di cui sarebbe diventato azionista.
Nel frattempo, in mezzo al clamore attorno alla vicenda Benetton-Telecom, un socio di maggioranza di Blu vende zitto zitto le sue azioni a British Telecom: si tratta della Mediaset di Silvio Berlusconi.
L’intreccio si fa ancora più fitto, dal momento che Benetton deve rivolgersi al Ministro delle Comunicazioni Gasparri proprio del Governo Berlusconi, che è in quel momento Presidente del Consiglio, per risolvere la situazione di un’azienda di cui Berlusconi stesso ha appena venduto le quote.
Niente male come situazione ingarbugliata! Blu è stata uno dei tanti conflitti d’ interesse del Cav.
Nel frattempo ci sono i dipendenti Blu, che rischiano di perdere il loro posto di lavoro. Si fanno sentire a gran voce scioperando e manifestando nelle maniere più colorate, sfilando anche in mutande e con i cappellini blu.
L’ accordo sul futuro di Blu viene raggiunto in temi relativamente stretti, su stimolo del Governo. La soluzione è lo spezzatino.
In pochissimo tempo l’azienda viene smantellata e venduta a pezzi ad altri operatori. I dipendenti toccano un po’ alla Wind e un po’ alla Tim. Il marchio è tutt’oggi in mano a Wind Tre che ovviamente lo ha lasciato nel cassetto.
Nel 2002 la rete Blu si spegne definitivamente. È ufficialmente la fine.
Una storia avvincente che però molti citano dimenticandone gli aspetti salienti. Il flop di Blu, a guardarlo anni dopo, appare tutto fuorché un fallimento puramente imprenditoriale. Blu non ha sbattuto il muso nelle telecomunicazioni, quanto piuttosto per strategie complesse (e forse non del tutto lecite) dei suoi azionisti.
Un intreccio tra economia, politica e imprenditorialità all’ italiana. Una situazione di certo molto diversa da quella di Iliad Italia oggi, in mano ad un unico forte azionista di riferimento. Insomma, la storia di Blu ci fa venire un po’ di nostalgia, perché appartiene ad un’ altra epoca delle telecomunicazioni. Ma certo è che ogni paragone con il nuovo quarto gestore è del tutto fuori luogo. E’ e sarà tutta un’ altra storia.