Il Made in Italy dei call center. L’ Italia li rimpatria

In un’Italia dove il mondo del lavoro è sempre più in crisi, il Ministero dello Sviluppo Economico lavora per riportare in italia i call center, con un mega progetto di rimpatrio.

Riportare in Italia i call center
Isabella Ragonese in “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì

La parola d’ordine è reshoring, ovvero riportare in Patria le aziende che hanno spostato la loro attività all’estero. In questo modo il ministro Carlo Calenda conta di creare 20mila posti di lavoro.
Il ministro è pronto a incontrare i grandi committenti italiani, ( telecomunicazioni, energia, banche, assicurazioni, tv a pagamento, etc ) per firmare un protocollo d’intesa.
Troppe le aziende che usano call center esteri per risparmiare sul costo del lavoro, creando disoccupazione in Italia come nel ormai tristemente famoso caso Almaviva.

Cosa prevede il protocollo d’intesa tra ministero e aziende?

  • Le aziende si devono impegnare a svolgere la loro attività in Italia, con almeno l’80% di chiamate in outsourcing, ovvero affidati all’esterno dell’azienda, effettuate sul territorio nazionale.
  • Le aziende devono garantire alcuni parametri di qualità sulla base della chiarezza, trasparenza, correttezza nelle spiegazioni, italiano corrente, rispetto delle fasce orarie etc.
    Per gli stranieri è richiesta la certificazione linguistica livello C1.
  • Le aziende non devono effettuare aste al ribasso: si segue il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, valorizzando gli aspetti tecnico-qualitativi dell’offerta.
  • Il costo del lavoro ha come riferimento il decreto legislativo n. 50 del 2016, ovvero il minimo contrattuale sulla base degli accordi con i sindacati.
  • Le aziende si impegnano ad applicare nei contratti di outsourcing la clausola sociale, garantendo, in caso di perdita di commessa del call center, la continuità occupazionale sul territorio.

Le reazioni al protocollo d’intesa sui call center

Cisl e Uil salutano con soddisfazione l’iniziativa del ministro.
L’annosa questione call center era stata abbandonata in un vuoto legislativo, e il protocollo è visto come un segno di buona volontà da parte del governo di affrontare la questione.
Di tutt’altro parere la Cgil, che considera il protocollo inefficace se non additittua uno spot elettorale, sottolineando altri interventi più urgenti da affrontare, tra cui ad esempio il superamento dei pagamenti a minutaggio di conversazione a favore dei pagamenti ad ora. Inoltre il timore è che la norma sull’80% di chiamate in outsoucing da effettuare in Italia possa portare a un effetto contrario, esportando il 20% di chiamate delle aziende che finora operavano esclusivamente in Italia.
Assocontact, associazione nazionale dei contact center aderente a Confindustria digitale, attraverso il suo presidente Paolo Sarzana, fa notare come questo protocollo sia non vincolante, dal momento che l’adesione delle aziende è volontaria e non obbligatoria, e che di conseguenza si tratta di un’operazione che rischia di limitarsi a una “moral suasion generica”.
L’auspicio è che il protocollo sia un primo passo per una vera riforma del settore.

Il ministro Calenda è stato duramente sotto attacco pochi mesi fa, nel dicembre 2016, durante la crisi della chiusura della sede romana di Almaviva Contact, con l’accusa di non aver fatto nulla per salvare i 1666 dipendenti licenziati, dopo il fallimento di ogni tentativo di accordo che, come hanno accusato i lavoratori, li avrebbe portati a percepire uno stipendio ancora più misero di quello che percepivano, con un trattamento da schiavi.