Giorgia Meloni vuole che la rete TIM torni allo Stato
Già da qualche tempo sentiamo parlare di rete unica e, sebbene questo argomento sia stato affrontato più volte dai diversi governi che si sono succeduti negli ultimi anni, ancora non si è arrivati ad un vero e proprio piano di azione. L’attuale governo Meloni ha preso parte a ben quattro riunioni (l’ultima il 29 dicembre) con i vertici delle realtà coinvolte nel progetto, è stato comunicato che la decisione sarà ormai rimandata al prossimo anno. Ma cosa si intende per rete unica? E quali sono le problematiche principali che si devono affrontare? Come sempre il nostro compito è quello di spiegare in modo semplice cose che sembrano difficili, cerchiamo quindi in questo post di fare un riepilogo su questa delicata questione.
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Rete unica: cosa vuol dire?
Dal nome sembra abbastanza intuitivo, ovvero stiamo parlando della creazione di una rete unica nazionale in grado di portare la fibra in ogni angolo del Paese. Una cosa del genere servirebbe tantissimo, sia per appianare le divergenze tra le grandi città e quei luoghi più o meno remoti della Penisola, sia perché avere una connessione adeguata è ormai un fattore indispensabile per sviluppare qualsiasi tipo di economia.
Durante gli ultimi due anni, complice la pandemia, tra smart working e didattica a distanza, si è vista un’Italia che viaggia a due velocità. Da un lato i centri urbani (più o meno densi) che possono contare su connessioni stabili e performanti, dall’altro paesi o zone rurali che invece vivono una grande situazione di disagio.
Tutto rimandato al 2023
Come già detto, l’ultima riunione ha avuto luogo il 29 dicembre e a quanto pare una decisione definitiva sarà presa nei primi mesi del 2023. L’obiettivo del Governo Meloni è quello di mantenere il controllo pubblico e di salvaguardare i livelli di occupazione. La questione è decisamente delicata, c’è da considerare il valore della rete, il debito di TIM (circa 20 miliardi), le dinamiche del mercato, gli investitori stranieri e i sindacati. Si apre quindi questa seconda fase per arrivare alle possibili misure da adottare per incentivare il settore. A tutte le realtà coinvolte (gli azionisti) è stato chiesto di formulare delle proposte concrete per arrivare ad una soluzione finale che sia condivisibile e sostenibile per tutti.
Ribadiamo che la questione è davvero complicata, con equilibri economici e sociali da mantenere. C’è la francese Vivendi, i manager di TIM, la Cassa Depositi e Prestiti, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Dipartimento per la trasformazione digitale, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e ancora vari azionisti tra FIber Cop e Open Fiber.
Insomma, trovare una soluzione che vada bene per tutti non sarà cosa semplice, ma la Meloni, già prima di diventare premier, aveva affrontato la questione in campagna elettorale, dichiarando che, una volta a Capo del Governo, avrebbe voluto rendere pubblica la proprietà dell’infrastruttura di rete per ragioni legate sia alla sicurezza nazionale sia alla tutela dell’interesse nazionale. Sicuramente uno degli aspetti più spinosi sarà quello legato al costo dell’operazione: Vivendi ha valutato l’infrastruttura di rete a oltre 30 miliardi di euro, mentre la TIM (rete + servizi) ha un valore in borsa di circa 4 miliardi.