C’ è un collegamento tra cellulari e tumori?
Esiste un collegamento diretto tra uso del cellulare e neoplasie e carcinomi? Di recente si è riaccesa la perenne e controversa disputa tra chi ritiene che le onde elettromagnetiche ad alta frequenza possano essere causa di tumori e tra chi sostiene che non si possa in nessun modo stabilire, su basi scientifiche, questo nesso.
A far riaccendere la polemica è stata recentemente una sentenza di Luca Fadda, giudice del Tribunale di Ivrea, con la quale ha stabilito che “sussista una probabilità qualificata del ruolo, quanto meno, concausale, dell’uso dei telefoni cellulari nella causazione della rara patologia che ha afflitto il ricorrente”.
La sentenza è stata emessa in favore di Roberto Romeo, assistito dagli avvocati Renato Ambrosio, Chiara Ghibaudo e Stefano Bertone, il quale ha fatto ricorso dopo che l’ Inail, ente previdenziale aveva respinto la sua richiesta di risarcimento non riconoscendo l’invalidità sostenendo che non si trattasse di malattia professionale. Il 2011 è l’anno in cui Roberto Romeo scopre di essere affetto da neurinoma dell’acustico destro provocandogli un danno biologico acclarato del 23 percento.
L’ insorgere di tale patologia sarebbe da attribuirsi alla lunga esposizione alle onde elettromagnetiche ad alta frequenza che Roberto Romeo, dipendente Telecom, si sarebbe sottoposto. Il giudice dichiara anche che l’ uso abnorme del cellulare per motivi di lavoro e prolungato negli anni sarebbe stata la causa del tumore benigno al cervello.
Dal 1995 al 2010 infatti, Roberto Romeo, sarebbe stato a capo di uno staff di 15-20 persone. Con ognuno dei i quali, per coordinare le attività, era in stretto contatto telefonico dalle 2-3 volte al giorno, spesso anche di più. Inoltre, sempre per la sua posizione dirigenziale, Roberto Romeo utilizzava il cellulare anche per telefonate istituzionali: con i superiori, enti ecc. Le chiamate ovviamente non erano mai brevissime, in media duravano dai 5-10 minuti.
Riportiamo così un’ estratto della motivazione del giudice. “Vi è l’associazione tra un tumore raro e un’esposizione altrettanto rara come l’utilizzo dal 1995 di telefonia cellulare ad elevate emissioni: se ne può inferire che la rarità della doppia circostanza depone per una associazione causale. Senza contare che l’uomo è destrimane e la patoloia è insorta nella parte destra”.
La dichiarazione e la sentenza del giudice Fadda ha riacceso un dibattito mai veramente sopito. Da una parte la fermezza della comunità scientifica con la quale afferma che attualmente non ci sia nessuno studio che confermi su base scientifica il nesso tra l’esposizione alle radiofrequenze di telefoni cellulari e antenne e patologie. Dall’ altra questa sentenza, che invece và in direzione opposta. Alimentando la percezione del rischio motivata però dallo studio di Iarc che punta il dito contro i campi elettromagnetici ad alta frequenza definendoli “cancerogeni possibili per l’uomo” e dichiara che la sentenza di Ivrea sia “una pietra miliare” perché è per la prima volta nelle aule di un tribunale sia riconosciuto un nesso causale tra l’utilizzo prolungato del cellulare e un tumore.
Ricordiamo che l’ Italia ha una delle legislazioni più severe nell’ ambito dell’ inquinamento elettromagnetico. Proprio la possibilità che smartphone e antenne cellulari possano essere causa di tumori, è causa della nascita di moltissimi comitati cittadini contro l’ installazione di nuove BTS e Node B da parte di Tim, Vodafone, Wind Tre e Iliad.
A causa della tradizionale difficoltà di installare nuove antenne in Italia, i gestori hanno trovato la soluzione del site sharing. Un’ opzione molto utile anche al fine di abbattere i costi di gestione delle reti. In un’ unico palo quindi, sempre più spesso troviamo le antenne di più operatori, così da velocizzare l’ aggiornamento e l’ installazione di nuovi apparati.
Ricerche scientifiche di ambito globale, è bene ricordarlo, escludono in ogni modo la correlazione tra cellulari e tumori.